lunedì 31 marzo 2008

Un'insopportabile allergia agli annunci in genere



Il terzo premio "Spregy" del mese va a...(rullo di tamburi, ne basta uno)
L'annuncio online di una 25enne che si definisce "bellissima e superficiale"
La risposta di un uomo d'affari: "Sei un bene che si svaluta, sarebbe meglio affittarti"
A New York una donna cerca di vendersi al miglior offerente, ma il banchiere saggio e sagace fiuta il pessimo affare.

"HO 25 anni, sono superficiale e di una bellezza spettacolare (sic) Cerco un marito che guadagni almeno 500mila dollari l'anno". Ecco!
La tipa in questione ci tiene a chiarire che si magari può suonare male, ma d'altra parte facendosi i suoi conti ha pensato bene di mettere le cose in chiaro.
La tipa aggiunge con una certa dovizia di particolari che ha frequentato anche uomini d'affari che guadagnano tra i 200 e i 250 mila dollari, ma su quella cifra rimani sempre nel limbo del ceto medio. Non sia mai.
Per fortuna qualcuno ha risposto al suo annuncio, affermando di avere i requisiti richiesti.

"In termini economici, io non posso che incrementare i miei guadagni mentre è assolutamente certo che tu non rimarrai bellissima" ha scritto il banchiere. "Sei una risorsa che non può che svalutarsi, io sono invece un bene in crescita". Quindi ha spiegato: "Tu adesso hai 25 anni e rimarrai attraente per i prossimi cinque anni, ma sempre meno ogni anno che passa. La tua bellezza comincerà a sbiadire. Non è quindi un buon affare 'comprarti' - che è quello che chiedi - sarebbe meglio affittarti" ha concluso il misterioso banchiere; che pare appartenga alla divisione investimenti della JP Morgan Chase.
E quindi non sia solo un personaggio inventato dal marketing delle risposte perfette.
A me capita sempre di pensare alla risposte perfette che dovrei dare in certe occasioni x, quando ormai sono in una posizione y, che non mi permette di fare la minima mossa z. Ma in questo caso, il tipo ha avuto l'intuizione giusta.
Possiamo quindi organizzare un torpedone per New York indi incontrarlo di persona, stringergli la mano.
e fare insieme un elenco delle donne spregevoli che si incontrano di tanto in tanto.
E compiacerci della lista che ne viene fuori.

giovedì 27 marzo 2008

Fatti una domanda e datti una risposta



Ho poche fobie nella mia insana vita. Una di queste è il testimone di Geova.
Spesso si muovono in branchi. A volte sono due, tipo carabinieri, e per lo piu' di età prossima al declino. E hanno la tipica faccia di quelli che se non gli dai ascolto te la faranno pagare prima o poi.
Ultimamente arrivano in orari impensabili. La notte ad esempio.
Sarà una specie di rave?
A me di solito succede che mi sveglio tutto sudato
e la campana della porta sta suonando per me. Oddio, è lui ( la versione condominiale di dio?) forse ho esagerato, apro contrito, forse mi inginocchio sui ceci, che tengo sempre a portata di mano, e mi trovo davanti una tipa brutta vera con gli occhiali con tredici misure in piu, un maglione verde bottiglia sformato, la gonna marrone avariato, una testimone di Geova insomma, mi sbatte in faccia l'opuscolo...e mi dice Cristo, Cristo è la risposta!
Cristo è la risposta Cristo è la risposta Cristo è...siccome lo dice in continuazione io penso che si sia incantato, cristo è la risposta, cristo è la risposta, cristo è
prego signora entri non vorrei mai gli spuntassero le stigmate direttamente sul pianerottolo.
Cristo è la risposta, Cristo è, si si certo...la porto in cucina. Niente non funziona, è impallata. la scuoto, niente, faccio un caffè. passano quei due minuti e mi sembra che lei continua è andata in loop cristo è cristo è...non riesco a sentire il tipico sbuffo perchè la tizia nella cucina insiste, è un martello, cristo è la risposta, cristo è la risposta, forse la pagano, cristo è la risposta cristo è la risposta cristo è la risposta. spunta il caffè. bollente, come piace a me. ora però io glielo lancio in direzione gengive.cristo. è. la. risposta. definitiva. ma vede, cristo signora io,
io non ho fatto nessuna domanda.

venerdì 21 marzo 2008

Una via crucis per tutte le stagioni





Prima stazione- xxx condannato a morte
Benvenuti ad Auschwitz (coro di alcuni poliziotti all'arrivo dei fermati alla caserma di Bolzaneto)
Seconda stazione- xxx caricato della croce
A una donna, che protesta e non vuole firmare, è mostrata la foto dei figli. Le viene detto: “Allora, non li vuoi vedere tanto presto…”. A un’altra che invoca i suoi diritti, le tagliano ciocche di capelli. Anche H. T. chiede l’avvocato. Minacciano di “tagliarle la gola”. M. D. si ritrova di fronte un agente della sua città. Le parla in dialetto. Le chiede dove abita. Le dice: “Vengo a trovarti, sai”. Poi, si è accompagnati in infermeria dove i medici devono accertare se i detenuti hanno o meno bisogno di cure ospedaliere.
Terza stazione - xxx cade per la prima volta
In un angolo si è, prima, perquisiti - gli oggetti strappati via a forza, gettati in terra - e denudati dopo. Nudi, si è costretti a fare delle flessioni “per accertare la presenza di oggetti nelle cavità”.
Quarta stazione - xxx incontra sua madre
Probabilmente avrebbero picchiato anche la madre di Carlo Giuliani quel giorno.
Quinta stazione- Simone di Cirene porta la croce di xxx
C’era anche un carabiniere “buono”, quel giorno. Molti “prigionieri” lo ricordano. “Giovanissimo”. Più o meno ventenne, forse “di leva”. Altri l’hanno in mente con qualche anno in più. In tre giorni di “sospensione dei diritti umani”, ci sono stati dunque al più due uomini compassionevoli a Bolzaneto, tra decine e decine di poliziotti, carabinieri, guardie di custodia, poliziotti carcerari, generali, ufficiali, vicequestori, medici e infermieri dell’amministrazione penitenziaria. Appena poteva, il carabiniere “buono” diceva ai “prigionieri” di abbassare le braccia, di levare la faccia dal muro, di sedersi. Distribuiva la bottiglia dell’acqua, se ne aveva una a disposizione. Il ristoro durava qualche minuto. Il primo ufficiale di passaggio sgridava con durezza il carabiniere tontolone e di buon cuore, e la tortura dei prigionieri riprendeva.
Sesta stazione - xxx La Veronica asciuga il volto di xxx
Forse qualcuna chiamata Veronica avrà asciugato qualche traccia di sangue
Settima stazione- xxx cade per la seconda volta
È saltato fuori durante il processo che la polizia penitenziaria ha un gergo per definire le “posizioni vessatorie di stazionamento o di attesa”. La “posizione del cigno” - in piedi, gambe divaricate, braccia alzate, faccia al muro - è inflitta nel cortile per ore, nel caldo di quei giorni, nell’attesa di poter entrare “alla matricola”. Superati gli scalini dell’atrio, bisogna ancora attendere nelle celle e nella palestra con varianti della “posizione” peggiori, se possibile. In ginocchio contro il muro con i polsi ammanettati con laccetti dietro la schiena o nella “posizione della ballerina”, in punta di piedi.
Ottava stazione- xxx ammonisce le donne di Gerusalemme
Forse qualcuno avrà urlato contro le donne presenti in divisa, in quella gomorra che era Genova di quei giorni
Nona stazione- xxx cade per la terza volta
Nelle celle, tutti sono picchiati. Manganellate ai fianchi. Schiaffi alla testa. La testa spinta contro il muro. Tutti sono insultati: alle donne gridato “entro stasera vi scoperemo tutte”; agli uomini, “sei un gay o un comunista?” Altri sono stati costretti a latrare come cani o ragliare come asini; a urlare: “viva il duce”, “viva la polizia penitenziaria”. C’è chi viene picchiato con stracci bagnati; chi sui genitali con un salame, mentre steso sulla schiena è costretto a tenere le gambe aperte e in alto: G. ne ricaverà un “trauma testicolare”. C’è chi subisce lo spruzzo del gas urticante-asfissiante. Chi patisce lo spappolamento della milza.
Decima stazione - xxx è spogliato delle vesti e abbeverato di aceto e fiele
Poi, gli innaffiano il viso con gas urticante mentre gli gridano. “Comunista di merda”.
Undicesima stazione- xxx è inchiodato sulla croce
I piercing venivano rimossi in maniera brutale. Una ragazza è stata costretta a rimuovere il suo piercing vaginale con le mestruazioni dinanzi a quattro, cinque persone”. Durante la visita si sprecano le battute offensive, le risate, gli scherni. P.
Dodicesima tredicesima stazione- xxx muore sulla croce- è deposto dalla croce
D. arriva nello stanzone con una frattura al piede. Non riesce a stare nella “posizione della ballerina”. Lo picchiano con manganello. Gli fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo minacciano “di rompergli anche l’altro piede”. Poi, gli innaffiano il viso con gas urticante mentre gli gridano. “Comunista di merda”. C’è chi ricorda un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di “non picchiarlo sulla gamba buona”. I. M. T. lo arrestano alla Diaz. Gli viene messo in testa un berrettino con una falce e un pene al posto del martello. Ogni volta che prova a toglierselo, lo picchiano. B. B. è in piedi.

Gli sbattono la testa contro la grata della finestra. Lo denudano. Gli ordinano di fare dieci flessioni e intanto, mentre lo picchiano ancora, un carabiniere gli grida: “Ti piace il manganello, vuoi provarne uno?”. S. D. lo percuotono “con strizzate ai testicoli e colpi ai piedi”. A. F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano: “Troia, devi fare pompini a tutti”, “Ora vi portiamo nei furgoni e vi stupriamo tutte”. S. P. viene condotto in un’altra stanza, deserta. Lo costringono a denudarsi. Lo mettono in posizione fetale e, da questa posizione, lo obbligano a fare una trentina di salti mentre due agenti della polizia penitenziaria lo schiaffeggiano. J. H. viene picchiato e insultato con sgambetti e sputi nel corridoio. Alla perquisizione, è costretto a spogliarsi nudo e “a sollevare il pene mostrandolo agli agenti seduti alla scrivania”. J. S., lo ustionano con un accendino.
Ogni trasferimento ha la sua “posizione vessatoria di transito”, con la testa schiacciata verso il basso, in alcuni casi con la pressione degli agenti sulla testa, o camminando curvi con le mani tese dietro la schiena. Il passaggio nel corridoio è un supplizio, una forca caudina. C’è un doppia fila di divise grigio-verdi e blu. Si viene percossi, minacciati.

In infermeria non va meglio. È in infermeria che avvengono le doppie perquisizioni, una della polizia di Stato, l’altra della polizia penitenziaria. I detenuti sono spogliati. Le donne sono costrette a restare a lungo nude dinanzi a cinque, sei agenti della polizia penitenziaria. Dinanzi a loro, sghignazzanti, si svolgono tutte le operazioni. Umilianti.
Umiliano i malcapitati, le malcapitate. Alcune donne hanno bisogno di assorbenti. Per tutta risposta viene lanciata della carta da giornale appallottolata. M., una donna avanti con gli anni, strappa una maglietta, “arrangiandosi così”. A. K. ha una mascella rotta. L’accompagnano in bagno. Mentre è accovacciata, la spingono in terra. E. P. viene percossa nel breve tragitto nel corridoio, dalla cella al bagno, dopo che le hanno chiesto “se è incinta”. Nel bagno, la insultano (”troia”, “puttana”), le schiacciano la testa nel cesso, le dicono: “Che bel culo che hai”, “Ti piace il manganello”.

Chi è nello stanzone osserva il ritorno di chi è stato in bagno. Tutti piangono, alcuni hanno ferite che prima non avevano. Molti rinunciano allora a chiedere di poter raggiungere il cesso. Se la fanno sotto, lì, nelle celle, nella palestra. Saranno però picchiati in infermeria perché “puzzano” dinanzi a medici che non muovono un’obiezione. Anche il medico che dirige le operazioni il venerdì è stato “strattonato e spinto”.

Il giorno dopo, per farsi riconoscere, arriva con il pantalone della mimetica, la maglietta della polizia penitenziaria, la pistola nella cintura, gli anfibi ai piedi, guanti di pelle nera con cui farà poi il suo lavoro liquidando i prigionieri visitati con “questo è pronto per la gabbia”. Nel suo lavoro, come gli altri, non indosserà mai il camice bianco. È il medico che organizza una personale collezione di “trofei” con gli oggetti strappati ai “prigionieri”: monili, anelli, orecchini, “indumenti particolari”. È il medico che deve curare L. K.

A L. K. hanno spruzzato sul viso del gas urticante. Vomita sangue. Sviene. Rinviene sul lettino con la maschera ad ossigeno. Stanno preparando un’iniezione. Chiede: “Che cos’è?”. Il medico risponde: “Non ti fidi di me? E allora vai a morire in cella!”. G. A. si stava facendo medicare al San Martino le ferite riportate in via Tolemaide quando lo trasferiscono a Bolzaneto. All’arrivo, lo picchiano contro un muretto. Gli agenti sono adrenalinici. Dicono che c’è un carabiniere morto. Un poliziotto gli prende allora la mano. Ne divarica le dita con due mani. Tira. Tira dai due lati. Gli spacca la mano in due “fino all’osso”. G. A. sviene. Rinviene in infermeria. Un medico gli ricuce la mano senza anestesia. G. A. ha molto dolore. Chiede “qualcosa”. Gli danno uno straccio da mordere. Il medico gli dice di non urlare.

Per i pubblici ministeri, “i medici erano consapevoli di quanto stava accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti e hanno omesso di intervenire pur potendolo fare, hanno permesso che quel trattamento inumano e degradante continuasse in infermeria”.

Non c’è ancora un esito per questo processo (arriverà alla vigilia dell’estate). La sentenza definirà le responsabilità personali e le pene per chi sarà condannato. I fatti ricostruiti dal dibattimento, però, non sono più controversi. Sono accertati, documentati, provati. E raccontano che, per tre giorni, la nostra democrazia ha superato quella sempre sottile ma indistruttibile linea di confine che protegge la dignità della persona e i suoi diritti. È un’osservazione che già dovrebbe inquietare se non fosse che - ha ragione Marco Revelli a stupirsene - l’indifferenza dell’opinione pubblica, l’apatia del ceto politico, la noncuranza delle amministrazioni pubbliche che si sono macchiate di quei crimini appaiono, se possibile, ancora più minacciose delle torture di Bolzaneto.
Quattordicesima stazione- xxx è deposto nel sepolcro
Possono davvero dimenticare - le istituzioni dello Stato, chi le governa, chi ne è governato - che per settantadue ore, in una caserma diventata lager, il corpo e la “dimensione dell’umano” di 307 uomini e donne sono stati sequestrati, umiliati, violentati? Possiamo davvero far finta di niente e tirare avanti senza un fiato, come se i nostri vizi non fossero ciclici e non si ripetessero sempre “con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza”?

nota
Spregevole + cit Giuseppe D'Avanzo (repubblica.it)

martedì 18 marzo 2008

Benessere o Nonessere...




Una delle cose che mi piace di piu' fare è andare nelle librerie per inserire piccole e significative frasi spregevoli nei manuali di autostima, che ormai non se ne può piu'.
L'unica accortezza è scegliere quelle librerie grandi tipo feltrinelli, andare al reparto psicologia, scienze sociali, manualistica dove solitamente si può agire indisturbati. Dunque. Vado a spiegare la modalità.
1 avvicinarsi circospetti alla zona d'azione
2 aver riempito prima qualsiasi tasca di vostro possesso con post it cattivi e pungenti
3 per dare soddisfazione ai commessi precari guardarli di tanto in tanto come a simulare qualcosa di losco, così per rinverdire il loro ego sfilacciato.
Evitare libri tipo Assertività & Autostima ( già un libro col titolo assertività ti fa crollare l’autostima all’istante visto che devi capire cosa significa prima), potremmo imbatterci in Addio sensi di colpa. Come liberarsi delle paure grazie al perdono.
In questo una volta ci ho messo dentro tra pagina 48 e 58 “ Ho smesso di fumare. Così vivrò una settimana di piu’. In quella settimana pioverà a dirotto” Woody Allen.

Soli e felici. Strategie di vita felice per persone che vivono sole ma che hanno una famiglia ma si sentono incomprese. Aiutiamo la nostra mente a vivere meglio. Ecco appunto. E io ci metto “ Capita a volte di sentirsi per un minuto felici: Non fatevi cogliere dal panico: è questione di un attimo, poi passa “ e questo è Gesualdo Bufalino.
Poi trovo Innàmorati di te. Una guida all’autorealizzazione. La piu’ grande storia d’amore che tu possa augurarti di vivere. E qui ci ficco dentro “ I grandi amori si annunciano in modo preciso. Appena la vedi dici…chi è questa stronza?” Flaiano.

Bisogna provare.
E' un gioco creativo.
Stimola le naturali difese immunitarie contro l'autostima autoindotta.
E aumenta il benessere naturale. O il non essere. Che è meglio...

sabato 15 marzo 2008

Piccole certezze crescono :il negozietto sotto casa



Sotto casa mia (nei dintorni) c'è Apu.
Quello pachistano dei Simpsons. Ovviamente non è lui veramente ma poco ci manca.
Questi empori supermercati alimentari magazzini internet point stanno colonizzando anche il mio quartiere che diventa etnico get down.
quindi succede che un vecchietto di 92 anni si faccia portare la spesa a casa da un ventottenne cresciuto a Islamabad e tutto funziona perfettamente;
succede che hanno qualsiasi cosa , costa un pò di piu', e chiude tipo alle 11 di sera che non è male.
Oggi avevo bisogno di mister Apu. Solo per capire che mi mancava qualcosa.
In fondo da queste parti stanno ridisegnando il panorama dei negozietti delle cose da dire, degli appunti, del passo dopo che ora mi mancano dieci centesimi, si non si preoccupi, cinecittà vive tempi di rinascita architettonica, mica dico cazzate.
Poi oggi però era chiuso. Mi ha preso male. Non è che hanno fatto una retata?
Perchè una volta nel congelatore due o tre carabinieri ci hanno trovato un pezzo di carne così malandata che pareva brutto non ricordargli delle regole.
E comunque la cosa piu' bella sono le peruviane che comunicano via webcam e dietro si autoorganizzano una scenografia di colori, frutta, verdura e altre cose del genere
una specie di decor casalingo. per dire che tutto va bene.
Apu non dice nulla. Quella è casa sua,ma non te lo fa pesare.
Spero che domani Apu ci sia. Anche se lui non sa che lo chiamo Apu.

Ah...è uscito un libro che parla degli effetti collaterali sulle città, i palazzi, tutte le strutture che l'uomo ha costruito, se mettiamo caso l'intera razza umana dovesse diciamo estinguersi.
In una nota a margine c'è scritto che i negozietti tipo Apu saranno il nostro rifugio antiatomico, o quel che piu' ci aggrada. Ecco.

martedì 11 marzo 2008

Alfredo ovvero come nominare le cose



Sento delle voci ultimamente. E la cosa mi conforta. Visto quello che dicono. La capacità di nominare le cose è qualcosa che appartiene all'arte e la fa sembrare diversa da altre cose che ci ostiniamo a sopportare.
Ci restituisce l'antica ferita dello sguardo. Che quando non ci piace piu'succede che lo distogliamo. Forse la tragedia di Alfredo Rampi, è stata l'ultima volta che tutti abbiamo guardato nella stessa direzione, ma con la giusta distanza. Sapendo di essere inabili allo sguardo. Solo capaci di "fare teatro". Eppure provare a tenere il fiato sospeso. Per il silenzio. Almeno per quello. Ecco cosa mi ricordo di quel giugno '81. di quelle notti che i miei passarono in veglia. come tanti genitori.Come i Baustelle che prendono la ferita buia e profonda di Alfredo Rampi e la sublimano in qualcosa che parla un'altra lingua. Inventano parole apposta per scavare dove altri non sono riusciti neanche a mettere le mani. Perchè l'arte è mischiare a piene mani nel fango. Senza aver paura di non trovarci niente altro che terra e acqua, che scivola. E ti rimangono i segni addosso. Ecco perchè questo pezzo è necessario in tutta la sua bellezza.
Per ricordarci di quel teatro aperto che tutti abbiamo osservato. Come circensi, giocolieri, accalcati a sporgerci.
Speravamo in qualche angelo al contrario. E invece tutto è rimasto sotto.
Tabu'. Trauma collettivo. I Baustelle hanno avuto il coraggio di spostare il punto di vista. Guardare le cose come se ce le raccontasse Alfredo. E vedere cosa vede lui. Restituirci il fango per intero. E dentro , non troppo nascosto il tabu' che abbiamo seppellito. E l'incapacità cronica di non voler guardare le nostre ferite.

Nota a margine.
Provai a parlare della possibilità di raccontare questa storia ad una importante produzione televisiva visto il mio mestiere. Sto nell'ambiente, you know. Mi presero per pazzo. Chi è vuole vedere una storia del genere? Dissero così.

I Baustelle suonano venerdi sera all'Alpheus.

A chi mai dentro sè il vuoto misurò

giovedì 6 marzo 2008

Il fatto è che mi manca...





Dunque. La situazione è che mi manca un bel pò l'ostetrica che mi ha fatto nascere.

Io questa cosa a mia madre gliel'ho detta tipo quando avevo otto anni.

Lei (Mia Madre) ha inventato una storia al momento che neanche le cicogne e i cavoli hanno presa per buona. Però ho apprezzato lo sforzo. Diciamo così.

Tentava di fare la mamma degli spot anni ottanta con me e io volevo premiarla.

Mettendola alla prova.

E le dico... Ma tu dov'eri quando sono nato io?

Lei si è messa a ridere e ha detto, cos'è un altro dei tuoi finti koan zen?

Io non ho mollato e le ho detto...davvero mamma, non scherziamo, tu dov'eri?

Perchè sai. Io non mi ricordo di te.

Mi ricordo piuttosto di una con le enormi e maestose tette. E tra parentesi erano tette professionalmente conformi alle direttive europee già nei primi anni settanta.

Mia madre si sforza di capire, ma non è cosa.

Accenno alla teoria dell'imprinting, ma lei al corso di psicologia preparto c'è andata solo 3 volte, e comunque era organizzato dal dopolavoro del policlinico. Meglio lasciar perdere.

Così mi implora di dirle che cosa voglio dire.

Voglio dire Madre che io mi ricordo di un'altra nella stanza.

E' da lei che ho preso questo imprinting. Io queste cose le so. Ho studiato. I primi minuti della vita di una persona sono fondamentali. Com'è che tu non hai lottato per tenermi ancora con te dopo che mi hanno tirato fuori. Non potevi resistere? Quanto mi hai tenuto in braccio? Uno, due minuti?

E adesso dove la trovo questa ostetrica infermiera...ho bisogno di lei.

Sono sicuro che le mamme capiscono. Anche se non vanno ai corsi di psicologia non vuol dire che non ci arrivano.


Forse è arrivato il momento di organizzare un raduno delle ostetriche/puerpere o come cavolo si chiamano. Non sarebbe meraviglioso?

E un reality? Corro a depositare il format






martedì 4 marzo 2008

The Riches e il problema dell'astinenza vera.


The Riches
" Vuoi che sia felice? Allora lascia che mi droghi" .


Adoro questa famiglia felice. Tossici dell'identità rubata .
Mi devo calare qualcosa della seconda serie al piu' presto. Sto praticamente a rota.
Non posso rischiare di avere una crisi con la "roba tagliata male" della fiction italiota.

Dove la parola felice è impossibile da associare alla parola droga.
E a pensarci bene anche la parola droga.
E la felicità è una specie di curva dell'audience. Ma niente di piu'.
E a tutti va benissimo così.
A me no. Vado in crisi facile.



Ho anche finito la coccoina.
Il vinavil andrà benissimo per stanotte.
Si è seccato il vinavil. Niente. Non esce. Annusarlo non serve.
Mumble mumble...
Dove ho messo il lucido per le scarpe?
Ho del lucido per le scarpe?
Ho delle scarpe?
Credo di no.
Sono salvo. Eppure spacciato. Tipo droga. Appunto. Non se ne esce...