lunedì 9 giugno 2008

Altre 3 vite (almeno)


L'altra sera alla libreria Giufà a San Lorenzo i tipi di Minimum fax hanno organizzato l'incontro con uno dei miei scrittori preferelli. Rick Moody. E' uscito il suo nuovo libro (Tre vite) appunto. Abbandonando la didascalia sfrenata diciamo che è stata una di quelle serate in cui capisci che i reading hanno senso se qualcuno ha delle cose da dire.
Moody è un grande scrittore e i suoi racconti parlano frantumando e balbettando le questioni delle cose (come piace a me); C'erano vari tipi umani. La Stancanelli dalle nostre parti col suo fedele cane al seguito, che avevo già visto al Lian piu' volte; ormai siamo amici (col cane ovviamente). E poi Zadie Smith che faceva da introducer dello scrittore di New York. Zadie vive nella nostra città insieme al marito (anche lui romanziere , tale Nick Laird, un irlandese dalla penna colorita di cui vi consiglio "La banda delle casse da morto" anche perchè è l'unico uscito nella nostra italietta credo); tornando alle parole dette da Moody mi vengono in mente delle cose.
Di quando ha parlato degli esseri umani talmente impegnati a prendere l'aperitivo che non si accorgono piu' delle metafore. Che mi pare una efficace e devastante descrizione di ciò che sta accadendo hic et nunc.
Con quel cappello sulla testa, la voce rotta dalle corde vocali ingiallite di new york portata a spasso con tutti i fonemi che la riguardano, Rick Moody descritto come un Cheever piu' cerebrale, uno Swift piu' legato alla realtà, un pò meno schizzato però di Kurt Vonnegut. E altrimenti era troppo. Si parla del ruolo del romanziere americano ( e vieppiu' quello newyorkese) post 11 settembre. Si dice che il romanzo perfetto sul tema non è ancora stato scritto, ma gli estremi romantici simbolici di Safran Foer (Molto forte incredibilmente vicino) e quelli di Ken Kalfus piu' visionari in salsa Cassavetes ( Uno stato particolare di disordine) a me hanno parlato di come la letteratura può affrontare gli eventi tragici e restituirli sottoforma di Metafora. Ecco che in quei casi qualsiasi aperitivo potrebbe risultare letale. Si finisce a parlare di ironia che forse è morta con le torri. Venuta giu' di schianto. Si dice che l'ambiguità è necessaria alla scrittura. E sono d'accordo su tutto. Anche sul si di Moody alla solita domanda del tipo col sigaro e avana (ancora possono circolare liberamente) intorno ai 45, presunto belloccio che me lo immagino che legge tutte le recensioni, e poi imposta la domanda col tipico sottofondo "io so le cose e sono qui apposta per farmi dire bravo guarda quante cose so" e Moody risponde "Si".
Ma levati adesso. Fatti un aperitivo se non capisci la metafora.

Per cui metto piede sulla parte piu' orientale dell'isola, stesso punto in cui misero piede gli italiani, stesso punto su cui misero piede gli irlandesi, stesso punto su cui misero piede i portoricani, e adesso ci entro, perchè fintanto che sono macerie non mi importa quanto fa caldo, ci entro, è come un deserto di vetro e sabbia, una discarica ridotta in vetro dalle fiamme, e sento le voci, anche se ormai ne è passato di tempo, tutte quelle voci, a strati, una sull'altra, nelle loro centocinquanta lingue diverse, non riesco a distinguere niente di ciò che dicono, sento solo che dicono: Ehi, è ora che qualcuno ci ascolti. "

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Non ho letto niente di Moody. che consigli per cominciare?

Anonimo ha detto...

Ho letto il libro di Safran Foer. Bello davvero.

Anonimo ha detto...

Anch'io ho letto il Safran Foer. Mi ha commosso in alcune parti. Soprattutto per come affronta il tema della perdita.

spregevole ha detto...

Fustigatio di Moody ti consiglio Tempesta di ghiaccio. Di cui è stato tratto il film omonimo. Ma anche il memoir "Il velo nero".

Anonimo ha detto...

Il velo nero è introvabile. Ne sei consapevole?