venerdì 30 maggio 2008

Come ho imparato a odiare i trolley # 1



Il trolley fuori dal contesto per cui è stato progettato è pressochè fuorviante.
Il fatto che qualcuno lo trascini fiero e stancamente nel sottoscala del mio condominio aumenta la
possibilità di una strage nei prossimi cinque massimo 6 minuti.
Il trolley è la risposta. A cosa? All'inquinamento acustico che produce. Ogni trolley ha un padrone.
Padrone che va in vacanza. E quindi inquina.
Perchè la gente va in vacanza e io invece no.

lunedì 26 maggio 2008

Al Pigneto stai mansueto


Al Pigneto occorre che uno stia mansueto
l'ha scoperto Rossellini, l'ha ripreso Pasolini
basta rime che altrimenti mi incastro.
Solo che in questo posto incastonato tra le consolari che mi piacciono succedono strane cose; gira voce che gli strozzini se la prendono coi bengalesi, e coi pachistani dalla faccia malinconica. Fanatico di negozi stile Apu dei Simpson, mi sembrano tutti enormi contenitori di storie e mi pare un delitto andare a fargli la caccia. E invece si.
Ci sono le spranghe. I piedi di porco. I pugni. Qualcuno li ha inventati, e c'è gente che sta messa così male da non sapere che farci a tenerli fermi e buoni.
Alla fine dei massaggi dei cinesi, nel mezzo dell'aperitivo tramontato nella zona pedonale, alla penombra dell'unico cinema a Roma che io mi ricordo che si azzardò a proiettare "Drawing Restaurant 9" di Matthew Barney e la ragazzetta sua Bjork. Che er a bello, che poi uscivi e c'avevi questa strana impressione che il mondo alla fine è pure un posto piccolo. Ora l'idea migliore che mi gironzola per la testa è che qualcuno alla fine recuperi la memoria. la memoria storica di certi quartieri e li trasformi in qualcosa tipo musei a cielo aperto. Che tu truzzo neonazista con le spranghe non ci puoi entrare. Non dico che suona il metal detector ma quasi. E alla fine verrebbe fuori una specie di Belleville, una falsariga del Marais, qualcosa che assomiglia a Tribeca. Un posto rifugio dentro questa Roma che al momento mi spaventa.
Ma che nessuno ci può inventare diversa da come è.
E le vecchiette che abitano nel pianerottolo dei trans sono felici così. Alla fine è segno dei tempi. L'importante è che la cicatrice si cancelli ad un certo punto.

giovedì 22 maggio 2008

Come se piovesse...


Mi piace. Mi piace proprio l'espressione come se piovesse. Rende l'idea di qualcosa che non la puoi fermare. Una volta che decide, è deciso così. In questi giorni la stagione dei monsoni per quanto ne sappiamo ha invaso Roma in ogni pertugio remoto.
Ieri volevo andare ad incontrare David Grossman, lo scrittore, quello di "che tu sia per me il coltello" e ho pensato di prendere la mia celeberrima r4 che però ha deciso di abbandonarmi proprio ai lati di un campo nei pressi del Quadraro vecchio bombardato e rimesso al mondo in questi tempi di rivisitazione alla celestini style.
Insomma il tempo passava, la mia macchinetta aveva forse preso troppa acqua in questi giorni, si sentiva trascurata, non lo so. Mi ha abbandonato. Ha fatto proprio quell'espressione che fanno le macchine vecchie per farti sentire in colpa. Tossiva. Il carburatore mi pare. Ma non lo so. Quando piove mi annebbio completamente. Bello. Da piccolo simulavo meteoropatie simbiotiche e ci cascavano tutti. Adesso non lo so.
Mentre passava il tempo, la pioggia aumentava, ma era leggera, sottile, poi cessava, poi ricominciava. Ho camminato fino a tornare a casa passando come un folletto pasoliniano tra i giardini del quadraro, la via dei consoli abbattonata per il freddo, i negozi dei pachistani, i vecchietti fuori dai circoli bocciofili ad allungare le mani per sentire se spiove, battute romane da pochi soldi eppure necessarie ...è una nuvola passeggera...da domenica non vuole passare piu'...aiuti di pozzanghere ad inzupparci piedi e pantaloni che non ce ne importa nulla, l'umido dell'alito dell'aria a soffiare fiato come se piovesse.
Che in effetti vuol dire che piove. Bambini sotto la pioggia e al posto delle orecchie bach e i concerti brandeburghesi che mi appoggio addosso come una specie di ombrello che mi tiene il tempo sottocoperta. Qualcuno ha inventato l'ipod e ancora mi funzionano i piedi nonostante tutto. Seguo i miei passi. Faccio caso ai bisbigli delle persone, e ogni parola mi arriva bagnata, e mi scivola addosso, che è come dire
che se smette di piovere smette anche tutta la musica intorno.

mercoledì 21 maggio 2008

Eskimo friend


Anche i maghetti non ce la fanno. Merlin, ragazzo eschimese , ha deciso di suicidarsi.
Se ha deciso così ci saranno dei motivi. Lui è uno dei soldati americani (ebbene si, veniva dall'Alaska, dalla splendida Alaska) che è stato arruolato per combattere in Iraq. Solo che passare dalle sue selvagge e meravigliose terre del nord fino per sprofondare gambe e cervello nel deserto iracheno non è cosa buona e giusta.
O c'è dell'altro? Le statistiche fornite dal governo yankee ci dicono che solo nello scorso anno il numero dei suicidi è cresciuto del 20%. Merlin era un nostalgico. Il suo professore di Anchorage ( e mi viene in mente la splendida canzone di quando ero un diciasettenne ribelle, quella di Michelle Shocked con cui boicottavo le feste del tempo). Il professore ha tentato di creare un legame tra Merlin e i suoi amici del nord, i suoi amici dei ghiacci che gli hanno scritto, lo hanno confortato. Ma lui alla prima licenza col pensiero di dover tornare in Iraq non ha retto.
E' crollato il suo pensiero. O forse si è sciolto.
A parte il destino avverso di nascere e crescere in un posto meraviglioso come l'Alaska, ma al tempo stesso essere parte arruolabile di un paese come gli stati uniti di adesso, dico a parte questo mi piace pensare che ci sia una musica apposta per lui. E' una canzone di qualche anno fa di Damien Rice, del primo Damien Rice, quello che fece il concerto all'Horus a Montesacro ed eravamo in 30 , di cui almeno 27 stranieri . I look to my eskimo friend, i look to my eskimo friend, i look to my eskimo friend, è tutta così, una specie di nenia di addio, si potrebbe tradurre come faccio affidamento nel senso di guardare, confidare, ricorrere al mio amico eschimese.spero in lui, e nelle granite che vorrà offrirmi, che il mio sogno è una granita gigante dalle parti dell'alaska. Gli sciroppi li porto io Merlin.

se capisco come funziona magari metto pure la musica su questo cavolo di aggeggioblog

lunedì 19 maggio 2008

Il senso del ritmo


Ieri sera in preda ai fumi della vittoria all'ora del tramonto me ne vado a correre nello splendido parco che costeggia gli acquedotti e tutto fa pensare che uno alla fine può anche essere felice.
C'è un profumo nell'aria che la metà bastava. Le balle di fieno accatastate ai lati del sentiero che passo a rapide falcate, mischiando i respiri con l'aroma di fiori che mi piace pensare spruzzino fragranze antiche e nuove apposta per me.
C'è questa giornata che sta finendo, un vento che smuove i neuroni e li massaggia come se fosse un mantra naturale. Non so che cavolo sto dicendo, ma mi pare che certe volte correre in un parco di sera faccia questo effetto. Alcuni studiosi dicono che sia euforizzante, ai limiti del drogato.
Penso a questa cosa da tossico della corsa nel mio parco preferito, e improvvisamente mi deprimo. Così. Di botto. E li sento da lontano. Quanti saranno? Penso a delle cose, penso a come deviare per non trovarmeli di fronte. Ma quanto ho corso? Sono finito in Africa forse? NO cazzo i Bonghi no. i suonatori di bonghi no. Non se ne può piu'. Ma perchè suonano? Mi faccio delle domande. Ma chi gliel'ha regalati sti cazzo de bonghi. Ma perchè non si fanno solo le canne senza bonghi intorno? Non hanno nessun ritmo, non seguono un'idea di armonia, non hanno neanche la postura dell'africa, non ci sono mai stati in africa, non sanno neanche di che materiale è fatta. Hanno solo qualche parvenza di capello mediamente piu' lungo, stile giamaica get down freestyle e allora dicono cazzo se suono il bongo alla fine rimorchio na cifra. Forse si. Forse no. Però avete dei seri problemi.
E allora la mia modesta proposta per dirla alla Swift è quella di riuscire a confinarli tutti in un ghetto ovviamente isolato acusticamente. Così questi geni del ritmo potrebbero esercitarsi liberamente nella loro solenne melodia da bongo ( o bingo) che tanto alla fine il senso di squallore è lo stesso.
Si narra di cani felici che ricomincerebbero a scodinzolare con l'aria liberata dal suono dei bonghi. Si narra di intere specie animali che deciderebbero di trasferirsi in Africa. Li forse la vita sarebbe piu' dura. Magari un canetto potrebbe trovarsi in seria difficoltà nella savana. Ma vuoi mettere la pace dei sensi?
I bonghi...ma dai...ci pensate noi tutti insieme in Zimbabwe a suonare i clacson atteggiandosi a grandi maestri con le movenze e le posture che ne conseguono?
Basta bonghi nei parchi. Liberiamo i bonghi. Un pò come i nani da giardino. Riportiamoli in Africa, in Giamaica. Facciamoli riposare. Dopo tutte le botte che hanno preso...e dai su...di no ai bonghi.

giovedì 15 maggio 2008

Problemi di slancio e di equilibrio nell'Europa centrale



Credo che morire sia sostanzialmente un atto definitivo.
Ma non è detto. Per quanto riguarda la prossemica del commiato ho tutta una teoria. Mi immagino la grazia con cui ci si avvicina all'evento; e mi piace pensare ad uno stile nell'uscire di scena. Ecco perchè ieri quando ho letto la notizia del fatterello ( è proprio il caso di chiamarlo così) non ho potuto fare a meno di abbandonarmi all'ilarità. Dunque. Nel Canton Ticino qualche giorno fa un gruppo di giovini del posto, evidentemente immuni all'uso delle cellule neuronali, o comunque diversamente cerebrati, hanno pensato bene di esercitarsi nella nobile arte della gara di sputi.
Ebbene si. Tu dici, ma come in Svizzera, tutto pulito, tutto lindo, ma dai pensavo che sputassero solo a Torbella, e invece no, in Svizzera si sputa. La legge lo permette. E c'è gente che ci rimane sotto. Nel senso letterale del termine. Un baldo giovine di 29 anni, con la speranza di una vita fatta di cioccolatini orologi brillanti e macchine cabriolet, ha avuto un eccesso di salivazione improvvisa tale da doversi liberare.
Ha organizzato una gara di sputi con il suo amichetto del cuore mentre deambulavano, immagino annoiati, in un albergo sito a Lamone-Cadempino nel Canton Ticino.
E fin qui tutto bene. Essendo che l'agonismo degli svizzeri, neutrali conclamati, non si esprime se non in queste stronzatelle appiccicose, ha pensato bene di superare di gran lunga lo sputacchio filamentoso del suo amico che lo sfidava a singolar tenzone.
Ha preso una rincorsa che manco Carl Lewis , al grido di lo sputo è mio è lo gestisco io, si è lasciato un pò troppo andare verso la ringhiera del balcone, ha perso l'equilibrio. E' morto. Non invento nulla.
Non si neanche se ha vinto.
Ma mi piace pensare che un coglione del genere sia precipitato sopra il suo stesso sputo. Mi piace l'idea che non si distingua la differenza tra slancio ed equilibrio.
Mi piacerebbe che la Svizzera registrasse il marchio coglione (r) con la faccia stilizzata del giovanotto in questione. Per onorarlo. Mica per altro.

martedì 13 maggio 2008

la fiera del salone dell'est che per due soldi



Reduce (è il caso di dirlo) dal salone del libro 2008 di Torino, sviluppo alcuni concetti basichi sull'editoria e il problema dell'addensamento pubblico nell'italia settentrionale. Ma anche orientale. Da cui est. Da cui fiera.
Finita la pantomima delle conseguenze, per prima cosa urge fare caso che alla fiera del libro c'è tutto e il contrario di tutto. Tanto per dirne una. Una neonata casa editrice che esce con due titoli. Un inedito di Cesare Pavese (cosa?) e il romanzo confessione di un tipo che è andato a Sanremo minacciando di impiccarsi se qualcuno non avesse prima o poi (ma immagino vista la situazione, meglio prima che poi) pubblicato il suo romanzo. La casetta editrice di cui sopra ha deciso di salvarlo mandando in stampa le sue fatiche. A quando una fiction?
Alla fiera del libro ti perdi. Io poi ho una sorta di rifiuto ancestrale contro i posti dove arrivi, fai il biglietto, e loro in cambio ti consegnano una mappa. Non so mai dove mi trovo neanche quando entro. Non c'è il pallino rosso che mi dice you are here. Perchè non inventano un pallino rosso che segue i movimenti. Anzi, solo i miei di movimenti. Che sarebbe meglio. I libri alla fiera del salone dell'est non costano affatto due soldi. Topolini che rosicchiano pagine si possono trovare. E ti credo.
poi c'è questa usanza da mercato di litorale romano fuori dagli stabilimenti mentre sciabatti e ti togli la sabbia. Fico sto pareo. Si ma quanto costa. Eh. 20 euro. E il tipo berbero o quel che è. Dai a 15 euro è tuo. Facciamo 28 e ne prendo 2? Ecco alla fiera del libro funziona così. Solo che uno non va in ciabatte e non vendono parei. Ma non sono sicuro. Gli incontri con gli autori sono notevoli. Ecco quello si. A parte la bellezza (tema di quest'anno) nel romanzo con Berardinelli (noto critico letterario) che ha reso soporifero qualsiasi aggettivo determinativo incontrollato.
Dopo una notte insonna Roma MIlano Torino fiera est non ci si poteva fare.
Però bello l'incontro con tutti i LucarelliStarnoneCarofiglioBallestra che parlavano delle loro passioni, mentre un attore faceva il verso del topo al microfono, bello il suono delle poesie ebraiche, bello ciò che ti arriva se ascolti e basta. Ottimo il punto di vista di uno come Etgar Keret. Lui scrive racconti brevi e ha questo senso dell'umorismo che attraversa strati diversi e nascosti della psiche.
Vede le cose in un modo semplice. Parla di memoria personale, di intimità da difendere. e dell'imprevedibilità della lingua che inventi con le storie.

lunedì 5 maggio 2008

Il mondo deve sapere. Ma anche no...


Venerdi sera si decide di andare a teatro a vedere "Il mondo deve sapere" tratto dal blog romanzo o qualcosa del genere di tale Michela Murgia. Premesso che un buon motivo che mi spinge all'azione è la presenza come attrice sul palcoscenico di Teresa Saponangelo che ho sempre apprezzato. Anche in tempi non sospetti. Da questo blog romanzo o quel che è hanno anche tratto (mc cojon) il film di Virzì. Tutta la vita davanti. Ora, a parte la riflessione spontanea che sorge sulla pomposità dei titoli derivati e affini, lo spettacolo è veramente veramente brutto. Non c'è un minimo di azione, di capacità di empatia. Fin dall'inizio quando vedevo la Murgia presenziare dappertutto per presentare il suo blog avevo subodorato qualcosa di strano.
Lei praticamente ha intitolato (spero con autoironia, ma mi comincia a venire qualche dubbio) "Il mondo deve sapere" la sua esperienza di venditrice telefonica in un'azienda multinazionale. Descrive le tecniche varie che si usano come se fosse scivolata in una sorta di girone infernale; come se qualcuno ce l'avesse ammanettata con lo scotch da pacchi. Parla di motivazioni, incentivi, e tutto ciò che riguarda il lavoro per obiettivi come se fossero parolacce che la sua boccuccia di rosa non può nemmeno pronunciare. Un'ipocrisia devastante, che almeno nello spettacolo, non suscita nessuna indignazione. Esattamente che cosa mi stai raccontando? Per tutto il tempo dello strazio, ti viene da bofonchiare tipo mantra interruptus la frase "E allora?" . Fammi capire, mi racconti la tua esperienza da venditrice di aspirapolveri e dovrei sentirmi vicino alla tua sofferenza. Ma vattene. Ma chi ti trattiene. O invece è piu' probabile che il blog, e tutto il resto sia nato proprio perchè "si sa" adesso va di moda il sociale, il teatro pseudo civile (ma che vordì) impegnato. Il teatro civile? Il teatro ci prende per il culo. Se è vero che lavorare in un call center (come si conveniva nel parlare post teatro da un ubriaco ristoratore cinese dietro a via nazionale) sia il nuovo modo di intendere la fabbrica e tutte le cose di cui ci imbeviamo per far capire che siamo contemporanei e sappiamo come va il mondo. Deve sapere che al mondo il fatto che uno si lamenti di certi lavori non frega nulla. Sai che c'è? Va così...
Però che uno ci faccia uno spettacolo teatrale? Beh insomma.
Quindi avere la motivazione di una lingua, e l'obiettivo di una storia è davvero troppo vero? Boh.
In compenso la serata si chiude per un saluto fugace a identity crash in versione buonaugurio che ha deciso di fare due zompi al rialto santambrogio. Solo la situazione ingresso mi ha confermato che è davvero un posto di merda , pieno di fichetti che pensano di organizzare le serate piu' fiche del pianeta, e che adesso da centro sociale, o quel che erano si sono trasformati ne piu' ne meno in uno degli ennesimi locali del centro, con i buttafuori che ti guardano male, se blocchi la fila solo perchè stai pensando a delle cose. Io penso che mi mancano le serate all'Angelo Mai. Evviva sempre l'angelo mai. Mai visto un buttafuori all'Angelo Mai. Anche nella notte di resistenza di due anni fa, con Capossela e tutti gli altri.

Il mondo lo doveva sapere. ma anche no...