lunedì 5 maggio 2008

Il mondo deve sapere. Ma anche no...


Venerdi sera si decide di andare a teatro a vedere "Il mondo deve sapere" tratto dal blog romanzo o qualcosa del genere di tale Michela Murgia. Premesso che un buon motivo che mi spinge all'azione è la presenza come attrice sul palcoscenico di Teresa Saponangelo che ho sempre apprezzato. Anche in tempi non sospetti. Da questo blog romanzo o quel che è hanno anche tratto (mc cojon) il film di Virzì. Tutta la vita davanti. Ora, a parte la riflessione spontanea che sorge sulla pomposità dei titoli derivati e affini, lo spettacolo è veramente veramente brutto. Non c'è un minimo di azione, di capacità di empatia. Fin dall'inizio quando vedevo la Murgia presenziare dappertutto per presentare il suo blog avevo subodorato qualcosa di strano.
Lei praticamente ha intitolato (spero con autoironia, ma mi comincia a venire qualche dubbio) "Il mondo deve sapere" la sua esperienza di venditrice telefonica in un'azienda multinazionale. Descrive le tecniche varie che si usano come se fosse scivolata in una sorta di girone infernale; come se qualcuno ce l'avesse ammanettata con lo scotch da pacchi. Parla di motivazioni, incentivi, e tutto ciò che riguarda il lavoro per obiettivi come se fossero parolacce che la sua boccuccia di rosa non può nemmeno pronunciare. Un'ipocrisia devastante, che almeno nello spettacolo, non suscita nessuna indignazione. Esattamente che cosa mi stai raccontando? Per tutto il tempo dello strazio, ti viene da bofonchiare tipo mantra interruptus la frase "E allora?" . Fammi capire, mi racconti la tua esperienza da venditrice di aspirapolveri e dovrei sentirmi vicino alla tua sofferenza. Ma vattene. Ma chi ti trattiene. O invece è piu' probabile che il blog, e tutto il resto sia nato proprio perchè "si sa" adesso va di moda il sociale, il teatro pseudo civile (ma che vordì) impegnato. Il teatro civile? Il teatro ci prende per il culo. Se è vero che lavorare in un call center (come si conveniva nel parlare post teatro da un ubriaco ristoratore cinese dietro a via nazionale) sia il nuovo modo di intendere la fabbrica e tutte le cose di cui ci imbeviamo per far capire che siamo contemporanei e sappiamo come va il mondo. Deve sapere che al mondo il fatto che uno si lamenti di certi lavori non frega nulla. Sai che c'è? Va così...
Però che uno ci faccia uno spettacolo teatrale? Beh insomma.
Quindi avere la motivazione di una lingua, e l'obiettivo di una storia è davvero troppo vero? Boh.
In compenso la serata si chiude per un saluto fugace a identity crash in versione buonaugurio che ha deciso di fare due zompi al rialto santambrogio. Solo la situazione ingresso mi ha confermato che è davvero un posto di merda , pieno di fichetti che pensano di organizzare le serate piu' fiche del pianeta, e che adesso da centro sociale, o quel che erano si sono trasformati ne piu' ne meno in uno degli ennesimi locali del centro, con i buttafuori che ti guardano male, se blocchi la fila solo perchè stai pensando a delle cose. Io penso che mi mancano le serate all'Angelo Mai. Evviva sempre l'angelo mai. Mai visto un buttafuori all'Angelo Mai. Anche nella notte di resistenza di due anni fa, con Capossela e tutti gli altri.

Il mondo lo doveva sapere. ma anche no...

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Io non ho visto lo spettacolo. Ma mi hanno regalato il libro. Perchè in quel periodo lavoravo in un call center. Mi ha fatto sorridere in certe parti.Ma in effetti non racconta nulla. Ha messo il manuale di vendita di qualsiasi call center e ci ha fatto il romanzo. Romanzo?

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo. Mia sorella lavora in un call center. Guadagna bene. e lavora part time. L'hanno presa subito. E' spigliata. Che male c'è a vendere cose per telefono? In America lo fanno da anni senza inutili tragedie

Anonimo ha detto...

Io ho visto lo spettacolo, ma ho letto prima il libro, che mi è sembrato spiritoso nella sua critica contro un certo modo di stare al mondo, più che al lavoro. Lo spettacolo ha perso quella ironia, diventando in effetti più denuncia che altro. Vendere cose per telefono non è un dramma, lo diventa se quando non ci riesci cercano di darti a intendere che è perchè non vali niente.

spregevole ha detto...

Aver letto il libro prima di aver visto lo spettacolo certamente aiuta. Forse anche leggerlo durante avrebbe aiutato. In generale sono d'accordo che teorizzare meriti e colpe umane in un lavoro sia aberrante.
D'altra parte peggio sarebbe vendere uno spettacolo del genere al telefono.

Anonimo ha detto...

Se cercate notizie sull'aspirapolvere KIRBY e su chi lo vende in internet troverete cose pazzesche (come rifilare un aggeggio costosissimo a povere casalinghe indifese; come far lavorare gratis "bamboccioni" in cerca di lavoro. Roba da fare invidia a Wanna Marchi!!).

Anonimo ha detto...

Posto che lavorare in un call center non e' il massimo della realizzazione umana, fa piacere notare che c'e' anche chi una qualche forma di senso prova a cercarla, invece che chiudersi nell'approccio radical-chic di chi ha la pretesa di avere la verita' in mano e dice che tutto il mondo e' nero... Vi consiglio di leggere questo estratto, soprattutto il secondo racconto, e' rincuorante:

http://www.resistenzaumana.it/wp-content/uploads//2008/05/abbracciare1.pdf

Un saluto,
Luigi